In un mondo in cui è sempre più valido l’ormai famoso e virale mantra «data is the new oil» (i dati sono il nuovo petrolio), il tema scottante della privacy dei dati è fondamentale e al centro non solo di ogni dibattito ma anche di ogni strategia.

D’altronde, che l’economia dei social network, delle platform, dei social-media e dell’e-commerce sia basata sul combustibile dei dati è accertato.

Se, però, l’ascesa dei social network e delle platform ha conosciuto un iniziale hype massivo (in cui spesso gli utenti ignari hanno “fatto il pieno” di dati alle Major di Internet), l’entusiasmo di queste prime fasi è stato accompagnato da una serie di dibattiti e riflessioni, cui è seguìto un periodo nel quale si è fatta sempre più consapevole e concreta la necessità di una maggiore privacy del dato.


Ovviamente, nell’epoca della digital transformation la privacy dei dati non concerne solamente i giganti hi-tech della Silicon Valley (i quali, per ovvie ragioni di dimensioni, hanno accesso a quantità di Big Data non paragonabili a nessun altro player, almeno in Occidente). Qualunque azienda che ottiene, con una tecnologia, dati circa persone e utenti è tenuta a mantenere i più alti standard di sicurezza e privacy circa i data, appunto.

Non è solo una questione di etica aziendale, è anche una questione pragmatica di best practice: dati non gestiti correttamente potrebbero compromettere la privacy degli utenti e minare la brand reputation del player in questione.


Ciò detto, nel settore del crowd management, i vari player che adottano soluzioni di counting technologies non possono non rispettare elevati standard di protezione dei dati e di tutela della privacy di questi.

Da tale punto di vista, il crowd management è un settore notevolmente delicato. Non solo perché, come detto, ha ovviamente a che fare con i dati di utenti oggetto di tracciamento - operazione necessaria per operare il people counting - ma, anche, perché ciò avviene in spazi fisici “chiusi”, cioè privati (come nel settore del retail, negli eventi, nel ferroviario), e pure in spazi pubblici, qualora gli stakeholder coinvolti sono agenzie governative, pubbliche amministrazione e municipality.


In quanto azienda che si sta ritagliando un ruolo di leader nel settore delle counting technology, G-move è totalmente compliant nei confronti del GDPR (General Data Protection Regulation, ovvero il Regolamento UE 2016/679 concernente la protezione delle persone fisiche circa il trattamento e la libera circolazione dei dati personali), ben conscia che il medesimo GDPR, appunto, non è una limitazione o una penalizzazione per le aziende ma, invece, un investimento per il futuro.

In un contesto globale caratterizzato da una competizione geopolitica imperniata sulla tecnologia e quindi anche sul possesso dei dati - in quanto unica “benzina” per la data economy, appunto -, le aziende dovranno fronteggiare un’estrema complessità e competitività fra player.

In tal senso, proteggere e tutelare i dati degli utenti non può che essere un valore aggiunto: ecco perché G-move si impegna costantemente in tale direzione. A riprova di questo, è importante ricordare che, all’interno di G-move, 3 founder su 5 (quindi più del 50% dei fondatori dell’azienda) hanno ottenuto l’attestato per lead auditor ISO27001 (inerente i sistemi di sicurezza per la gestione delle informazioni); non di meno, G-move si sta preparando a ottenere la documentazione per il certificato del medesimo standard ISO27001.


Sulla scia di queste riflessioni, è possibile concludere sottolineando che una ipotetica «decrescita felice dei dati» (ovvero un lavoro di persuasione condotto nei confronti degli utenti affinché non rilascino ad attori terzi i propri dati), che da alcuni è auspicato nell’ambito della data economy, è una mera utopia.

Soluzioni di questo tipo non possono, in realtà, che aiutare player geopolitici estranei all'Occidente democratico, come stati autoritari, che interverrebbero a gamba tesa proponendo le loro soluzioni e conquistandosi fette di mercato, come starebbe ora a dimostrare il case study di un celebre social di una potenza dell'Estremo Oriente - social che in questi immediati giorni sarebbe sul punto di essere bannato dagli States.

L’unica strategia vincente, quindi, è la tutela della privacy.